Le applicazioni della stampa 3D nello spazio

Lo spazio è l’ultima frontiera dell’esplorazione umana e la produzione additiva sta giocando un ruolo chiave per favorire l’espansione dell’uomo oltre il pianeta Terra. Dalla produzione di componenti per razzi alla stampa di parti a gravità zero, la stampa 3D viene scelta nel settore aerospaziale per la sua capacità di ridurre i costi, ottimizzare i progetti e consentire la produzione in ambienti estremi. Agenzie spaziali come la NASA e l’ESA hanno già incorporato parti stampate in 3D nelle loro spedizioni e, nel tempo, vengono studiate sempre più applicazioni futuristiche, come la stampa di cibo e tessuti biologici per missioni di lunga durata.
Uno dei settori in cui la stampa 3D ha avuto il maggiore impatto è quello dello sviluppo dei razzi. La produzione additiva, in questo settore, riesce a dare un enorme contributo, ottimizzando le prestazioni di questi componenti che devono rispondere a degli standard molto elevati. Avendo già dedicato un intero articolo ai razzi e ai veicoli spaziali, oggi diamo un’occhiata ad altre affascinanti applicazioni della stampa 3D nello spazio.
Stampare nello spazio
La stampa 3D a gravità zero come primo passo verso le fabbriche spaziali
Rendere la stampa 3D efficiente nello spazio è attualmente uno dei principali obiettivi delle organizzazioni spaziali, in quanto consentirebbe di sviluppare numerose applicazioni in loco. Tuttavia, le condizioni nello spazio sono diverse da quelle sulla Terra, con condizioni come la microgravità e il vuoto che caserebbero delle difficoltà alle stampanti 3D convenzionali. I ricercatori dell’Università di Glasgow hanno sviluppato una soluzione per migliorare la stampa 3D a gravità zero. Il dottor Gilles Bailet dell’Università di Glasgow lavora da anni a un prototipo di stampante 3D per lo spazio che stampa dispositivi direttamente in orbita, come riflettori, antenne di comunicazione o medicinali. La stampante elabora del materiale granulare e stampa in modo efficiente anche nelle condizioni più avverse. Bailet la considera la soluzione adatta per spianare la strada alle fabbriche spaziali. Nel novembre 2024 la stampante è stata ampiamente testata in diversi voli di prova.
Il primo oggetto in metallo stampata in 3D a bordo della ISS
All’inizio del 2024, una stampante 3D in metallo è stata inviata nello spazio con l’obiettivo di testare la produzione in orbita. La stampante in questione è stata progettata da Airbus in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ed è stata inviata sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) a bordo della missione di rifornimento Cygnus NG-20. Dopo mesi di calibrazione, sono riusciti a stampare in 3D la prima parte metallica in orbita, segnando un momento importante nello sviluppo della produzione spaziale. Il risultato è stato ottenuto utilizzando il processo di deposizione diretta di energia (DED), in cui un laser ad alta potenza fonde un filo di acciaio inossidabile a temperature fino a 1.200°C. Il risultato è stato quello di ottenere una serie di componenti metallici di 9 x 5 cm. Questo risultato dimostra come la stampa 3D abbia un forte potenziale per la produzione di strumenti e strutture nello spazio, aprendo le porte alla fabbricazione su richiesta e ottimizzando le risorse nell’esplorazione spaziale.

(Crediti fotografici: ESA)
La NASA testa la saldatura a raggi laser nello spazio
La Laser Beam Welding, ossia la saldatura a raggi laser, è un tipo di deposizione di energia diretta (DED) che viene spesso utilizzata per le riparazioni o per la costruzione di oggetti partendo da zero. Nello spazio, questa tecnologia potrebbe aiutare a costruire grandi habitat nell’orbita terrestre bassa, strutture di veicoli spaziali per la sicurezza degli astronauti e altro ancora. Nell’autunno del 2024, la NASA ha reso noti i dettagli di un progetto di ricerca durato due anni sulla fattibilità del Laser Beam Welding nello spazio, annunciando che la missione è stata un successo. Il progetto nasce dalla collaborazione tra il Marshall Space Flight Center della NASA e la Ohio State University. Insieme, hanno cercato di comprendere i processi fisici della saldatura sulla superficie lunare. Il team ha studiato gli effetti della Laser Beam Welding in un ambiente combinato di vuoto e gravità ridotta. Durante i voli di prova, sono riusciti a saldare 69 saldature su 70, raccogliendo dei dati con una rete di sensori durante i test. Comprendendo come la saldatura possa funzionare in un ambiente simile, si spera di aumentarne le capacità di produzione anche nello spazio.

Il team monitora la saldatura a raggio laser in una camera a vuoto durante un volo parabolico di un Boeing 727. Da sinistra, Andrew O’Connor, scienziato dei materiali di Marshall e responsabile tecnico della NASA per il progetto; Louise Littles, scienziata dei materiali di Marshall e Aaron Brimmer, studente laureato dell’OSU. (Crediti fotografici: Tasha Dixon)
I ricercatori della Berkeley inviano una stampante 3D nello spazio
L’8 giugno 2024 i ricercatori dell’Università della California, Berkeley, hanno inviato per la prima volta la loro stampante 3D a microgravità nello spazio, come parte della missione Virgin Galactic 07. La stampante SpaceCAL ha trascorso 140 secondi nello spazio suborbitale a bordo del velivolo spaziale VSS Unity. In quel breve lasso di tempo, ha stampato e post-processato autonomamente un totale di quattro parti di prova, tra cui navette spaziali e statuette, con la plastica liquida PEGDA. Seppure la stampante vada ancora messa a punto e non sia perfetta, secondo i ricercatori ha funzionato bene in condizioni di microgravità e ha permesso di convalidare la prontezza di questa tecnologia di stampa 3D per i viaggi spaziali. Con il supporto della NASA, i ricercatori della Berkeley continueranno a testare la tecnologia per poterla fornire agli astronauti come mezzo di produzione di parti di ricambio durante le missioni più lunghe nello spazio.

La stampante 3D SpaceCAL a bordo del VSS Unity. (Crediti fotografici: Virgin Galactic)
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) usa la stampante 3D IMPERIAL
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha deciso di servirsi della stampante 3D IMPERIAL per le proprie esplorazioni spaziali. La soluzione è stata sviluppata da OHB System AG, Azimut Space, Athlone Institute of Technology e BEEVERYCREATIVE con l’obiettivo di creare parti più grandi del volume disponibile. Grazie alla stampante 3D IMPERIAL possono quindi essere create strutture, strumenti e parti di ricambio indispensabili per la buona riuscita delle missioni spaziali prolungate. Le caratteristiche di questa stampante sono molto interessanti. Innanzitutto, è in grado di stampare in condizioni di microgravità, ossia a gravità quasi zero. Capacità che le normali stampanti non hanno. È inoltre dotata di un piatto di stampa a forma di nastro trasportatore che, servendosi di un unico asse, consente la produzione continua ed è adatto alla creazione di strutture con grandi volumi. Infine, può stampare quasi a gravità zero anche materiali ad alte prestazioni come PEEK, PEKK e PEI grazie alla presenza di un ambiente termoregolato che ne impedisce la deformazione. Il prototipo è stato creato con successo sulla Terra e il prossimo passo sarà la sperimentazione nell’ambiente di microgravità della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) o sullo Space Rider dell’ESA.
Stampa 3D di circuiti elettronici per veicoli spaziali
Un team di ingegneri della NASA ha testato con successo dei circuiti elettronici stampati in 3D su un volo suborbitale dalla Wallops Flight Facility. La tecnologia ha permesso di stampare i sensori direttamente sulle superfici interne ed esterne dei veicoli spaziali, ottimizzandone lo spazio e la funzionalità. Durante l’esperimento, i sensori di temperatura e umidità stampati sul portello di carico e sui pannelli del razzo SubTEC-9 hanno raccolto dei dati che sono stati poi trasmessi alla Terra. Questa innovazione facilita l’integrazione di componenti in aree precedentemente inutilizzabili e migliora la precisione delle antenne stampandole su superfici curve. Inoltre, hanno sviluppato circuiti con tracce ultrasottili, riducendo la dipendenza dai metodi tradizionali come il cablaggio metallico. Questa tecnologia potrebbe essere applicata in missioni future per monitorare le temperature all’interno dei veicoli spaziali o integrare le strutture progettate dall’intelligenza artificiale e fabbricate in orbita.

(Crediti fotografici: NASA)
Vivere nello spazio
Redwire Corporation porta il biorpinting nello spazio
Redwire Corporation è un’azienda aerospaziale americana il cui obiettivo è accelerare la conquista dello spazio sviluppando soluzioni che rendano più facile la vita in orbita. Uno dei modi in cui questo obiettivo viene raggiunto è grazie all’uso del bioprinting nello spazio. Da tempo l’azienda lavora alla creazione di tessuti stampati in un ambiente di microgravità. Infatti, alla fine del 2023, ha annunciato di essere riuscita a stampare in 3D nello spazio il primo menisco del ginocchio, più precisamente a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. John Vellinger, vicepresidente esecutivo di Redwire, ha aggiunto: “Questa è una scoperta che ha implicazioni significative per la salute umana. La dimostrazione della capacità di stampare con successo tessuti complessi come questo menisco rappresenta un importante passo avanti verso lo sviluppo di un processo di produzione riproducibile in microgravità per una bioprinting affidabile su larga scala”. In ogni caso, si tratta di uno sviluppo che dimostra come la produzione additiva possa avere un impatto sulla salute umana nello spazio e renderla molto più accessibile.

La bioprinter 3D installata a bordo della ISS (Crediti fotografici: Redwire Corporation)
Bioprint FirstAid aiuta a curare le ferite nello spazio
L’esperimento Bioprint FirstAid è un altro esempio notevole di come il bioprinting potrebbe essere utilizzato nello Spazio. Nel 2022, mentre si trovava sulla Stazione Spaziale Internazionale, l’astronauta dell’ESA Matthias Maurer ha testato il dispositivo che si aziona a mano ed è descritto come una “pistola per cerotti/bendaggi”. Bioprint FirstAid funziona producendo una copertura simile a un cerotto per le ferite cutanee utilizzando un bioinchiostro. Per sperimentare il Bioprint FirstAid, Maurer si è servito di un inchiostro composto da microparticelle fluorescenti invece che di un materiale composto da cellule cutanee, con l’obiettivo di utilizzarlo per la cura personalizzata delle ferite degli astronauti sulla ISS. Nel 2024, un documento di ricerca ha mostrato che è stato ottenuto un certo successo con le cellule della pelle umana che proliferano nei biogel dopo la stampa. A quanto pare, la biostampante è risultata avere una forte tolleranza ai guasti, un design robusto, nessuna elettronica e una meccanica priva di manutenzione. Perfetto per le future missioni esplorative umane sulla Luna o, addirittura, su Marte!

L’astronauta Matthias Maurer mentre testa l’esperimento Bioprint FirstAid (Crediti fotografici: ESA/NASA)
Il Prof. Pablo de León brevetta la stampa 3D di tute spaziali
Pablo de León, presidente del Dipartimento di Studi Spaziali dell’Università del North Dakota (UND), ha brevettato una tecnologia di stampa 3D innovativa. Questa permette agli astronauti di produrre delle intere tute spaziali e di creare autonomamente delle parti di ricambio durante le missioni spaziali di lunga durata, con l’obiettivo di essere pronti per i futuri viaggi verso Marte. La tecnologia del Prof. Pablo de León porterebbe alle missioni spaziali numerosi vantaggi. Innanzitutto, la produzione di componenti della tuta spaziale e di altri articoli essenziali in caso di necessità potrebbe avvenire in loco, ossia nello spazio, limitando la dipendenza da ipotetici rifornimenti provenienti dalla Terra. In aggiunta, il design delle tute spaziali o dei guanti e degli stivali può essere personalizzato per ciascun astronauta grazie ai dati raccolti dalle scansioni dei loro corpi. Inoltre, con questa tecnologia si possono utilizzare sia filamenti rigidi, che flessibili. In questo modo è possibile realizzare sia componenti rigide, destinate a zone come il torso, sia parti più morbide, ideali per le articolazioni. La sua tecnologia si presta inoltre anche alla produzione di altri oggetti, come serbatoi pressurizzati per fluidi. I filamenti utilizzati per produrre le tute possono anche essere prodotti con elementi presenti nel suolo marziano o nei gas atmosferici extraterrestri, consentendo così di sfruttare le risorse locali nel caso di missioni planetarie prolungate. La tecnologia sviluppata e brevettata da Pablo de León potrebbe così essere utilizzata anche per il programma Artemis della NASA, che consiste in una serie di missioni finalizzate a riportare gli astronauti sulla Luna, con l’obiettivo di farli avanzare verso Marte.

Accanto al prototipo della tuta spaziale stampata in 3D, Pablo de León (a sinistra) posa insieme ai dottorandi David Mateus Jimenez, Jurie Visagie e Pranika Gupta. (Crediti fotografici: Joe Banish/UND Today).
Pasti per astronauti stampati in 3D ricavati dai rifiuti della plastica
Avete senz’altro visto che esiste il cibo stampato in 3D, ma avete mai sentito parlare di cibo stampato in 3D ricavato dai rifiuti della plastica? Per produrre cibo nello spazio, le organizzazioni spaziali americane, giapponesi ed europee hanno collaborato con l’industria alimentare per trovare una soluzione: raccogliere i rifiuti di plastica e trasformarli in cibo commestibile. Sembra un’idea fantascientifica, ma l’azienda Beehex lo ha reso possibile. Per prima cosa, raccoglie i rifiuti di plastica, li sminuzza e li mette in un bioreattore con uno specifico batterio modificato. Poi, i batteri mangiano la plastica e la trasformano in una biomassa che può essere stampata in 3D per formare dei pasti. Beehex è stata fondata da Anjan Contractor, un ingegnere affiliato alla NASA, e uno degli obiettivi del progetto era quello di nutrire gli astronauti. Con la stampa 3D sono state create bistecche, pollo e altro ancora.

(Crediti fotografici: NASA)
Costruire nello spazio
ICON e la NASA potenziano la costruzione 3D sulla Luna e su Marte
La NASA ha assegnato un contratto da 57,2 milioni di dollari alla ICON di Austin per sviluppare tecnologie di costruzione per le future missioni sulla Luna e su Marte. Nell’ambito del progetto Moon to Mars Planetary Autonomous Construction Technologies (MMPACT), ICON collaborerà con il Marshall Space Flight Center della NASA per sviluppare il sistema di costruzione Olympus. Il progetto mira a utilizzare materiali locali per la costruzione di infrastrutture come piattaforme di atterraggio, habitat e strade sulla superficie lunare. Questo contratto, che durerà fino al 2028, amplia il precedente lavoro di ICON nell’ambito del programma Small Business Innovation Research (SBIR) e si basa sulla sua esperienza nella stampa 3D applicata all’esplorazione spaziale, compresa la costruzione di Mars Dune Alpha, un habitat marziano simulato per la missione analoga CHAPEA. Con queste innovazioni, la NASA cerca di far progredire le tecnologie essenziali per l’esplorazione sostenibile di nuovi siti.

(Crediti fotografici: ICON/BIG-Bjarke Ingels Group)
Space Copy punta ad avere una stampante 3D sulla Luna
Space Copy è una delle numerose aziende che si pone l’obiettivo di stampare in 3D sulla Luna o addirittura su Marte e oltre! L’obiettivo generale dell’azienda è quello di sviluppare soluzioni ai problemi pratici che si incontrano nella produzione di infrastrutture in ambienti estremi sulla Terra e nello spazio, dove la produzione standardizzata e tradizionale è costosa e ad alto rischio. La startup, lanciata nel 2022, vuole implementare soluzioni di stampa autonome per la costruzione a distanza, oltre a integrare tecniche di produzione additiva personalizzate per la fabbricazione di forniture e infrastrutture su richiesta. Inoltre, l’azienda sta sviluppando stampanti per stampare materiale stimolante per il suolo. La fondatrice Madison Feehan ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di installare una stampante sulla Luna entro il 2031.

(Crediti fotografici: Space Copy)
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