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A Gaza i medici realizzano il primo fissatore esterno al mondo stampato in 3D

Pubblicato il 10 Dicembre 2025 da Giulia Z.

In uno dei contesti sanitari più devastati al mondo, un gruppo di medici e ingegneri ha raggiunto un risultato senza precedenti. GLIA, organizzazione internazionale di solidarietà medica, ha progettato e prodotto all’interno della Striscia di Gaza il primo fissatore esterno al mondo stampato in 3D. Si tratta un dispositivo ortopedico essenziale per trattare fratture complesse. Il tutto è stato realizzato interamente con materiali locali, stampa 3D, plastica riciclata e alimentazione solare.

Il dispositivo ha già evitato l’amputazione o una disabilità permanente a tre pazienti, in un territorio dove oltre il 90% delle strutture sanitarie risulta danneggiato o distrutto e dove l’ingresso di forniture mediche è quasi totalmente bloccato.

Come funziona un Xfix e perché è cruciale a Gaza

Chiamato in inglese anche “xfix”, un fissatore esterno serve per allineare le ossa fratturate ed è utile in campo medico perché è regolabile a seconda del tipo di frattura. In condizioni normali, un fissatore esterno viene scelto quando la frattura è troppo instabile per essere trattata con tecniche interne o quando i tessuti sono troppo danneggiati per un’operazione immediata. Risulta quindi un valido alleato in situazioni critiche, soprattutto perché permette ai chirurghi di “mettere in pausa” la condizione medica: stabilizza, protegge e dà al corpo del paziente il tempo necessario per ridurre l’infezione o lo shock traumatico.

Tuttavia, la sua efficacia dipende dalla rapidità con cui viene applicato. Il dottor Tarek Loubani, direttore medico di Glia, sottolinea come ritardare il posizionamento di un Xfix può condurre ad amputazione o, nei casi peggiori, alla morte. I fissatori esterni convenzionali costano anche più di 500 dollari, richiedono importazioni specialistiche e sono ormai irraggiungibili a causa del blocco israeliano. In un contesto come quello palestinese, in cui gli ospedali lavorano in condizioni di collasso e i dispositivi commerciali non possono entrare facilmente nella Striscia, la possibilità di produrre dispositivi e strumenti in loco è diventata una necessità vitale.

La prima operazione utilizzando il fissatore esterno stampato in 3D

Un dispositivo costruito con ciò che è disponibile

Nonostante i limiti dati dalla contesto geopolitico, i medici avevano un vantaggio dalla loro parte: molti materiali necessari alla produzione dell’Xfix possono essere reperiti nel territorio. “Per diverse settimane sapevamo che tra le macerie c’era il tipo di metallo di cui avevamo bisogno per realizzare la parte del fissatore esterno” fa notare il dottor Tarek, spiegando come le barre di metallo sono poi collegate a giunti in plastica realizzati in stampa 3D.

Tutti i componenti plastici sono prodotti con materiali riciclati e utilizzando esclusivamente energia solare, una scelta obbligata in un luogo in cui elettricità e acqua pulita sono difficili da ottenere.

La produzione è lenta e richiede fino a 12 ore per una singola componente stampata, ma il processo è già pienamente operativo. Dodici ulteriori pazienti sono in attesa del dispositivo, che da agosto 2025 viene applicato regolarmente nelle strutture sanitarie ancora funzionanti. Ad oggi, questi fissatori esterni stampati in 3D rappresentano l’unico modo per garantire precisione e riproducibilità e un supporto sicuro ai pazienti più bisognosi. L’obiettivo è passare, in futuro, a un sistema di estrusione della plastica più rapido. Tuttavia, l’incertezza legata alla tregua e il rischio di nuovi bombardamenti ostacolano ogni programmazione a lungo termine. Una delle sedi di Glia a Gaza ha già subito degli attacchi in passato, fortunatamente senza vittime.

A sinistra, il kit con parti in metallo e materiali stampanti in 3D; a destra, uno dei primi pazienti con il fissatore esterno.

Un modello aperto e replicabile

La buona notizia è che il dispositivo è completamente open-source. Jen Wilson, direttrice della produzione e del design di Glia, spiega che l’organizzazione non intende brevettare nessun aspetto dell’Xfix né trarre profitto dai dispositivi. L’obiettivo è che possa essere replicato ovunque serva, soprattutto in contesti a basso reddito o in zone di conflitto.

Glia precisa che il progetto è nato dalla collaborazione di équipe palestinesi, canadesi e britanniche. Il team ha lavorato a diretto contatto con dottori palestinesi per assicurarsi che il materiale fosse sanificato e strutturalmente adeguato alle operazioni mediche. L’organizzazione rifiuta l’idea di “aiuto” e descrive invece il lavoro come un esempio di innovazione palestinese. Il dottor Loubani, che ha trascorso tre mesi nei pronto soccorso di Gaza, definisce questo lavoro «uno dei progetti più innovativi» che abbia visto, sottolineando l’ingegnosità palestinese e la capacità di creare un dispositivo essenziale per i pazienti più gravi.

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