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Il primo display OLED flessibile stampato in 3D

Pubblicato il 12 Gennaio 2022 da Nunzia A.
display oled stampa 3d

Un team di ricercatori dell’Università del Minnesota ha stampato in 3D un prototipo di display OLED (a diodi organici ad emissione di luce). Lo schermo misura 3,8 cm per 3,8 cm e ha 64 pixel. Il progetto è particolarmente interessante in quanto si tratta di uno schermo flessibile che potrebbe essere utilizzato per smartphone pieghevoli o schermi TV, il tutto ad un costo più accessibile. Per produrlo sono state utilizzate due diverse tecnologie di produzione additiva e una stampante creata su misura.

I diodi organici ad emissione di luce si basano su materiali organici per emettere la luce – a differenza degli LCD che usano semiconduttori cristallini inorganici. Gli OLED sono quindi un’alternativa agli LCD e hanno diverse caratteristiche interessanti come una migliore efficienza energetica in quanto non richiedono la retroilluminazione, un elevato rapporto di contrasto, flessibilità meccanica, un angolo di visione più ampio e una migliore resistenza alla rottura.

Sono stati utilizzati la tecnologia ad estrusione e lo sputtering (crediti: McAlpine Group, University of Minnesota)

La stampa 3D di questo tipo di display ha sempre rappresentato una sfida. La tecnologia dei display OLED, infatti, si basa sulla conversione dell’elettricità in luce di uno strato di materiale organico. Creare questo strato è difficile perché richiede una perfetta uniformità, che è più compelsso ottenere attraverso la produzione additiva. Inoltre, i legami polimero-metallo sono più instabili nella stampa 3D.

Sei strati stampati in 3D per formare lo schermo OLED

Il team ha usato due tecnologie di stampa 3D per superare questa sfida e creare i sei strati dello schermo. Utilizzando una stampante ad estrusione, hanno prodotto gli elettrodi, l’isolamento, le interconnessioni e l’incapsulamento. La stessa stampante 3D è stata poi utilizzata per creare gli strati attivi attraverso un processo di polverizzazione catodica (sputtering in inglese). In particolare, gli strati sono stati stampati uno dopo l’altro con vari materiali a seconda della loro funzione. Per esempio, il primo strato è stato depositato su una pellicola flessibile in PET ed è formato da un inchiostro di nanoparticelle d’argento; il quarto strato è fatto di silicone poiché copre i materiali conduttivi sottostanti. Infine, il dispositivo è stato incapsulato con un polimero colato in uno stampo in silicone, stampato per estrusione.

display stampa 3d

Il display è composto da sei strati diversi (crediti: McAlpine Group, University of Minnesota)

Il team spiega: “Abbiamo usato un metodo di stampa 3D a spray per depositare MDMO-PPV, un polimero semiconduttore, per migliorare l’uniformità degli strati attivi. L’ugello a spray è stato integrato nel nostro sistema di stampa: l’inchiostro è atomizzato al livello dell’orifizio quando si crea un’alta velocità relativa tra l’inchiostro quasi statico e il gas pressurizzato. Le goccioline atomizzate hanno un diametro di 30-50 μm ed evaporano rapidamente dopo aver colpito il substrato“.

I ricercatori sottolineano che la macchina utilizzata è stata sviluppata su misura e quindi comprende diversi ugelli da cambiare a seconda dello strato da depositare. Il costo dell’operazione? La macchina costerebbe circa quanto una Tesla Model S. In ogni caso, il metodo di stampa dovrebbe svilupparsi e diventare più diffuso, secondo Michael McAlpine, professore presso il dipartimento di ingegneria meccanica dell’Università del Minnesota: “Il vantaggio della nostra ricerca è che non stiamo parlando di qualcosa da produrre nel futuro, tra 20 anni. Si tratta di qualcosa che abbiamo già prodotto in laboratorio e non è difficile immaginare che questo si potrebbe tradurre nella possibilità di stampare i propri display a casa o mentre si è in viaggio, con una piccola stampante portatile, nel giro di pochi anni“.

Siamo curiosi di assistere ai futuri sviluppi di questo progetto. Per il momento, per maggiori informazioni rimandiamo allo studio completo QUI.

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*Crediti foto di copertina: McAlpine Group, Università del Minnesota

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