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Un “cerotto” stampato in 3D potrebbe guarire i tessuti cardiaci

Pubblicato il 25 Settembre 2024 da Nunzia A.

Quando sopravvengono, i danni al cuore sono lenti a guarire da soli e spesso richiedono un intervento chirurgico per prolungare la durata della vita. Ma se fosse possibile riparare i tessuti compromessi con tessuti artificiali? Un team dell’Università del Colorado Boulder (CU Boulder), in collaborazione con l’Università della Pennsylvania, ha sviluppato un nuovo metodo per stampare in 3D un materiale elastico e resistente, in grado di resistere alle pulsazioni del cuore. Il risultato? Un “cerotto” adatto al cuore stampato in 3D che potrebbe cambiare il modo in cui i medici trattano determinate patologie.

Uno dei problemi principali nello sviluppo di materiali per il cuore è che devono essere sia resistenti che elastici, pur essendo personalizzabili in termini di forma e dimensioni per ogni paziente. Ciò è dovuto alla natura dell’organo: il battito costante significa che non è possibile avere una plastica rigida poiché il materiale deve essere in grado di cambiare con il cuore, mentre la rigidità porterebbe alla frattura. Ciò significa che i dispositivi biomedici e gli impianti realizzati tradizionalmente con lo stampaggio a iniezione o la fusione non sono impiegabili per queste applicazioni. Se a ciò si aggiunge che le lesioni cardiache sono mortali e non possono essere curate naturalmente, questo materiale, che potrebbe essere usato come un “cerotto” stampato in 3D per il cuore, potrebbe davvero rivoluzionare la cura dei pazienti cardiopatici.

Questo materiale elastico può essere usato come un “cerotto” stampato in 3D per il cuore.

Il ricercatore senior Jason Burdick, professore di ingegneria chimica e biologica presso il BioFrontiers Institute della CU Boulder, spiega inoltre: “I tessuti cardiaci e cartilaginei sono simili in quanto hanno una capacità molto limitata di ripararsi da soli. Quando sono danneggiati, non si può tornare indietro. Sviluppando nuovi materiali più resistenti per migliorare il processo di riparazione, possiamo avere un grande impatto sui pazienti”.

La realizzazione del cerotto stampato in 3D per il cuore

Per creare questo cerotto per il cuore stampato in 3D, i ricercatori hanno sviluppato un proprio metodo di stampa 3D. Denominato CLEAR (o Continuous-curing after Light Exposure Aided by Redox initiation), il processo è stato ispirato dal modo in cui i vermi si aggrovigliano e si districano quando sono insieme. Ciò ha dimostrato ai ricercatori che, incorporando catene di molecole intrecciate in modo simile, è possibile renderle più resistenti.

Per farlo, hanno utilizzato l’idrogel, un materiale popolare per tessuti artificiali, organi e impianti, ma che tende a rompersi quando si usa forza, a incrinarsi sotto pressione o a essere troppo rigido quando viene stampato in 3D. I ricercatori hanno realizzato che i loro materiali, stampati con il metodo di stampa di loro invenzione erano esponenzialmente più resistenti dei materiali stampati con il DLP. Inoltre, i materiali erano ancora in grado di adattarsi e aderire ai tessuti e agli organi animali, il che significa che è possibile avere materiali adesivi stampati in 3D abbastanza forti da sostenere meccanicamente i tessuti, una novità mondiale.

L’idea è che questi materiali stampati in 3D possano essere utilizzati per una serie di applicazioni. Ad esempio, per riparare i difetti del cuore, per somministrare farmaci che rigenerano i tessuti direttamente su organi o cartilagini o persino per ricucire in sala operatoria senza causare danni ai tessuti del paziente. Inoltre, sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, questa scoperta potrebbe avere applicazioni anche al di fuori della medicina.

Il primo autore e ricercatore del Burdick Lab, Abhishek Dhand, conclude: “Si tratta di un semplice metodo 3D che potrebbe essere utilizzato nei laboratori accademici e nell’industria per migliorare le proprietà meccaniche dei materiali per un’ampia varietà di applicazioni. Risolve un grande problema per la stampa 3D”. Per saperne di più,  il comunicato stampa dell’Università del Colorado Boulder QUI o l’articolo pubblicato QUI.

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*Tutti i crediti fotografici: Casey Cass/CU Boulder

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