Negli ultimi anni, la gamma dei materiali per la produzione additiva sta aumentando sempre di più. Tra questi, la cenere vulcanica proveniente dall’Etna ha suscitato un interesse sempre più crescente come materiale geopolimerico per la stampa 3D. Da un lato, ricercatori del CISAS e del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova hanno esplorato la stessa cenere vulcanica come analogo terrestre della regolite lunare, verificandone la composizione chimico-mineralogica e le prestazioni meccaniche in vista di applicazioni di costruzione in situ (ISRU) sulla Luna. Dall’altro, diversi gruppi di ricerca italiani – come quello dell’Università di Catania e del centro FunGlass in Slovacchia – hanno dimostrato che, una volta alcalino-attivata, la miscela di ceneri etnee e scarti vetrosi può essere impiegata per produrre inchiostri stampabili e sostenibili per l’edilizia, con buone proprietà reologiche e meccaniche.
È la tesi del progetto presentato da Sabrina Elettra Zafarano durante il congresso congiunto della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (SIMP) e della Società Geologica Italiana (SGI), tenutosi a Padova lo scorso settembre.
Conosciuta in inglese come Direct Ink Writing (DIW), questa tecnica di stampa 3D consente di estrudere impasti o inchiostri altamente viscosi con estrema precisione, strato dopo strato. Nel caso dello studio catanese, l’inchiostro è composto da una miscela di cenere vulcanica dell’Etna e vetro di scarto proveniente dalla produzione di fibra ottica, due materiali comunemente destinati alla discarica che vengono invece trasformati in risorse per la produzione additiva.
I ricercatori hanno sperimentato quattro diverse formulazioni, variando le proporzioni tra cenere e vetro (80:20 e 60:40) e utilizzando soluzioni alcaline di idrossido di potassio (KOH) a diverse molarità. L’obiettivo era ottenere un materiale che fosse abbastanza fluido da essere estruso, ma sufficientemente stabile da mantenere la forma dopo la deposizione.
I risultati sono stati promettenti: tutti gli inchiostri hanno mostrato un comportamento pseudoplastico, ossia tendono a diventare più fluidi quando vengono estrusi ma a riacquistare rapidamente consistenza una volta depositati. Tra le varie formulazioni, una in particolare (60% cenere e 40% vetro, con soluzione alcalina 9M) si è rivelata offrire le migliori prestazioni: con una ricostruzione strutturale del 93% in 90 secondi, i ricercatori sono riusciti a ottenere una resistenza meccanica paragonabile a quella di altri materiali alcalino-attivati stampati in 3D.
Secondo Zafarana, questi risultati «dimostrano la possibilità di trasformare materiali di scarto in una risorsa per l’edilizia sostenibile, coniugando innovazione e stampa 3D».
Oltre al valore scientifico, lo studio ha un forte impatto ambientale: il riuso della cenere vulcanica e del vetro di scarto riduce il volume dei rifiuti, promuove l’economia circolare e apre la strada a nuove applicazioni nella produzione additiva di componenti architettonici o elementi decorativi. La combinazione tra precursori naturali e attivatori alcalini offre un equilibrio tra facilità di lavorazione, stampabilità e prestazioni meccaniche, rendendo questi materiali competitivi per la costruzione sostenibile del futuro.
Cenere vulcanica (Crediti foto: Sicialian Post)
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