Dal suo lancio, Bambu Lab si è rapidamente affermata nel mercato della stampa 3D grazie soprattutto alla creazione di stampanti come la P1S, rinomate per la loro velocità, affidabilità e facilità d’uso. Tuttavia, i recenti aggiornamenti del firmware di questi dispositivi hanno suscitato una forte reazione da parte della comunità degli utenti.
La scorsa settimana Bambu Lab ha annunciato un aggiornamento del firmware. La risposta, tutt’altro che unanime, ha suscitato un vivace dibattito all’interno della comunità della stampa 3D. Mentre il produttore giustifica questo aggiornamento in termini di miglioramento delle misure di sicurezza, molti utenti vedono le modifiche apportate dall’azienda come un attacco ai principi di open source, che hanno caratterizzato l’ecosistema della stampa 3D fin dalla sua nascita.
Bambu Lab ha avvertito i suoi utenti riguardo all’aggiornamento del firmware tramite un post sul blog (Crediti fotografici: Bambu Lab).
In seguito all’aggiornamento del firmware introdotto da Bambu Lab, gli utenti si vedono ora costretti a utilizzare un’applicazione cloud per configurare i propri dispositivi. Questa scelta di affidarsi al cloud è stata criticata dalla communità maker, perchè si pone in netto contrasto con la filosofia del controllo totale sugli strumenti. Ciò comporta che i maker non potranno più esercitare un controllo completo sulla propria stampante a causa del nuovo aggiornamento del firmware.
Inoltre, sempre tramite questo aggiornamento, sono state applicate delle restrizioni sull’accesso locale alle stampanti. Sebbene in risposta alle critiche sollevate dalla comunità sia stata aggiunta la funzione Developer Mode, ossia la “modalità sviluppatore”, questa, tuttavia, si serve comunque dell’uso del cloud per poter inizializzare la stampante.
Secondo Bambu Lab, le nuove misure introdotte dal firmware sono state progettate per affrontare problemi di sicurezza critici. L’azienda afferma di aver gestito fino a 30 milioni di richieste non autorizzate al giorno ai propri server, accompagnate da attacchi informatici mirati, come gli attacchi DDoS, ossia i Distributed Denial of Service. Per contrastare queste minacce, il nuovo firmware incorpora meccanismi di autorizzazione e autentificazione necessari a diverse funzioni chiave della stampante, tra cui:
Bambu Lab spiega con un grafico il nuovo flusso di lavoro a seguito dell’aggiornamento (Crediti fotografici: Bambu Lab).
Questi miglioramenti includono anche l’inserimento di protocolli di crittografia end-to-end e la firma del codice per garantire l’integrità degli aggiornamenti. Tuttavia, queste giustificazioni non sono sufficienti a placare una comunità storicamente legata all’autonomia e all’open source.
L’aggiornamento ha immediatamente scatenato critiche all’interno di forum, gruppi online e social network legati alla stampa 3D e, in particolare, a Bambu Lab. Le principali preoccupazioni degli utenti sono le seguenti:
Fin dal progetto RepRap, la stampa 3D ha fondato i suoi principi seguendo un’idea di apertura e condivisione. Da anni, produttori, sviluppatori di software e utenti si sono affidati a ecosistemi aperti per far crescere questo settore. Introducendo meccanismi di autorizzazione e limitando l’uso di alcuni protocolli, Bambu Lab sembra allontanarsi da questi principi, percepiti come contrari a determinati valori di mercato.
Le nuove misure di sicurezza includono restrizioni sulle operazioni effettuate tramite software di terze parti. Questo preoccupa alcuni utenti che preferiscono utilizzare slicer alternativi o soluzioni di controllo specifiche, come Orca Slicer o Panda Touch. Sebbene Bambu Lab abbia dichiarato di star attualmente lavorando insieme agli sviluppatori di terze parti per garantire una compatibilità continua, queste rassicurazioni non sono state sufficienti per placare le tensioni della comunità.
Alcuni utenti temono che le nuove funzioni introducano dei rischi in termini di raccolta di dati personali. L’idea che una stampante possa essere controllata da remoto dall’azienda, anche con il pretesto di un aggiornamento di sicurezza, sembra spaventare gli utenti che vogliono avere il pieno possesso e controllo della propria stampante, alimentando così la sfiducia nei confronti del produttore.
Molti maker hanno espresso le loro preoccupazioni per quanto concerne il vendor lock-in. A causa di questo aggiornamento, Bambu Lab viene accusata di promuovere un uso esclusivo dei suoi prodotti e servizi, limitando così l’interoperabilità con altri hardware.
Bambu Lab Connect consente di avviare la stampa e di gestire la propria farm di stampanti 3D (Crediti fotografici: Bambu Lab).
Di fronte all’ondata di critiche, Bambu Lab ha cercato di allentare le tensioni introducendo le seguenti modifiche :
Non sono però bastate né la popolarità dell’azienda, né le sue giustificazioni a convincere o rassicurare una parte degli utenti. In particolare, questi hanno fatto riferimento a una clausola dei termini d’uso di Bambu Lab, che afferma che una stampante potrebbe bloccare l’avvio di nuove stampe fino all’aggiornamento del firmware, rendendola così inutilizzabile nell’attesa del nuovo aggiornamento. Questa ambiguità continua dunque a sollevare critiche e aumentare gli allarmismi.
Questa controversia potrebbe inoltre incoraggiare gli utenti a rivolgersi ad altre aziende come Creality, Anycubic o Elegoo, che offrono stampanti a basso costo, o Prusa, azienda nota per il suo impegno verso un uso open source delle soluzioni.
Gli utenti esprimono la loro insoddisfazione sulla pagina Reddit di Bambu Lab.
Questa polemica mette in luce una tensione preesistente e crescente nel settore della stampa 3D: la ricerca di un equilibrio tra innovazione, controllo aziendale e libertà degli utenti. Man mano che le stampanti 3D diventano sempre più connesse e sofisticate, aumentano, di conseguenza, anche i rischi di attacchi informatici. Ma è importante chiedersi se le soluzioni proposte dai produttori debbano necessariamente comportare anche a una limitazione della libertà degli utenti.
Questa di BambuLab rimanda anche a un’altra controversia storica, ossia quella di MakerBot che, dopo essere stata pioniera della stampa 3D open-source, ha scelto di chiudere il suo ecosistema nel 2012. Questa inversione di rotta strategica di MakerBot ha scatenato una forte indignazione all’interno della comunità e ha contribuito a un progessivo calo di fiducia nei confronti del marchio. Se da un lato questa decisione aveva l’obiettivo di proteggere al meglio la sua proprietà intellettuale e garantire un’esperienza utente controllata, dall’altro ha intaccato la reputazione dell’azienda, a lungo celebrata per il suo impegno attivo all’interno del movimento open-source.
In un settore in cui l’innovazione si basa spesso sulla collaborazione aperta, le scelte di Bambu Lab possono servire da lezione o da monito per altri produttori. Il tempo ci dirà se queste scelte strategiche permetteranno a Bambu Lab di rafforzare la sicurezza delle proprie stampanti senza inimicarsi la comunità, o se segneranno l’inizio di una calo di fiducia duraturo nei confronti del marchio.
La Developer mode di Bambu Lab dovrebbe consentire il mantenimento delle funzioni precedentemente disponibili e limitare l’utilizzo e la dipendenza dal cloud.
Per il momento, la comunità resta in attesa delle prossime mosse di Bambu Lab per ristabilire la fiducia nell’azienda. In caso contrario, viene da chiedersi se questa non rischi di perdere la sua ottima posizione in un mercato altamente competitivo.
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